7: i fattori critici di successo.

150: capacità limite di riconoscersi a memoria e relazionarsi a vicenda

Extreme Ownership, di Jocko Willink e Leif Babin, è un bestseller di management scritto da due ex Navy Seals, che danno un punto di vista qualificato in merito ad alcuni aspetti della leadership e del mercato.
Perché lo cito?
Perché le aziende e le organizzazioni sono in perenne competizione. Una guerra continua contro mille avversari: i concorrenti, i mercati, le risorse, la logistica e l’efficienza, cioè il rapporto costo/efficacia.
Trattandosi di una guerra, può essere proficuo rivolgersi a chi sperimenta e perfeziona da millenni i mezzi e i modi per vincerla: le organizzazioni militari e gli eserciti del mondo che si misurano tra loro in gare cruente ed estreme, nelle quali chi arriva secondo… muore.

Partiamo da questa prospettiva per rivisitare qualche aspetto delle organizzazioni militari e delle tecniche di formazione/addestramento per studiare i sette fattori critici di successo che potrebbero essere utili per un imprenditore:

  1. patriottismo (senso di appartenenza),
  2. organizzazione dei reparti di comando (dipartimenti) e gestione della leadership
  3. coordinamento degli sforzi e comunicazione interna
  4. scelta degli alleati (partnership)
  5. sistema informativo
  6. condivisione degli obiettivi
  7. motivazione e rendimento dei singoli in un sistema organizzato

Le analogie con ogni azienda, organizzazione sportiva o istituto del mondo “civile” sono evidenti.

Nei reparti militari, il minore livello di impiego unitario è la squadra, generalmente composta da un numero di membri vicino a 7 o eventualmente articolata in nuclei, ciascuno di dimensioni non superiori a questo numero: esattamente ciò che accade nelle squadre di football americano di 15 giocatori, dove il quarterback coordina di fatto due gruppi da 7.

Sette è il numero massimo di oggetti che possiamo tenere presenti contemporaneamente e gestire mentalmente senza bisogno di contarli.

Anche per diverse specie di altri animali, come per gli uccelli nello stormo o i pesci nel banco, il gruppo di riferimento ha analoghe dimensioni (Bestie da Guerra– Ferrari G. e Ferrari M.M. – Albatros, 2012).

Il fenomeno noto come “effetto Ringelmann” – sperimentalmente verificato – afferma che se la squadra supera il limite del magico numero 7 il contributo individuale allo scopo comune diminuisce, perché il singolo tende a fare sempre più affidamento sul gruppo, si sforza meno ed è meno motivato. Quindi, anche l’azione formativa riuscirà più efficace lavorando con gruppi o sotto-gruppi di dimensioni non superiori, quando lo scopo sia migliorare il senso di appartenenza compiendo attività collettive. Se l’obiettivo è la formazione individuale o l’allenamento dei singoli per la competizione, queste limitazioni ovviamente non sussistono.

Sempre in ambito militare, meno di sette squadre (solitamente 3-5) sono raggruppate in altrettanti plotoni e questi aggregati a loro volta in compagnie, ciascuna comprendente un numero massimo di circa 150 membri. Questo è il fatidico numero di Dunbar, identificato dall’antropologo evoluzionista come il limite della capacità di riconoscersi reciprocamente a memoria e di relazionarsi intimamente a vicenda all’interno di una comunità umana. Lo stesso concetto è stato ripreso da Harari nel suo saggio “Sapiens”.

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Oltre tale cifra subentra una fisiologica frammentazione in sottogruppi di minori dimensioni, basati a loro volta al loro interno sulla conoscenza personale, sui legami di parentela, di prossimità spaziale, di colleganza professionale, quindi non necessariamente coerenti con i valori di appartenenza perseguiti dall’istituzione o dall’azienda.

Per le organizzazioni più grandi, allora, sorge la necessità di segnali di riconoscimento comuni, simboli più o meno astratti per distinguere prontamente anche a distanza l’affiliato dall’estraneo, sempre potenzialmente ostile. Gesti, suoni, modi di parlare, gridi e riti, abbigliamento e decorazioni, codificati nel tempo in modo diverso in tutte le culture, ma da sempre visibilmente accentuati nelle formazioni militari: uniformi, insegne e bandiere, distintivi e accessori di specialità come la penna degli alpini, il piumetto dei bersaglieri, gli emblemi degli incursori.

Sono accorgimenti adottati anche in molte realtà istituzionali e aziendali, con camici di colore e foggia diversificati a seconda del rango o del ruolo di chi li indossa oppure attraverso community online, una forte cultura interna o un sistema mitologico che fa leva su archetipi o su credenze condivise.

Accade anche alla nostra specie di homo interconnessus. I contatti nella rubrica telefonica di cui ci ricordiamo all’istante o gli “amici” che conosciamo realmente nei social network costituiscono una sorta di branco virtuale di appartenenza per ciascun abitante delle nostre anonime città. Si è rilevato che il numero medio di individui che compongono entrambi questi tipi di gruppi si aggira proprio attorno ai 150 (numero di Dunbar), che è anche il numero di conspecifici dei quali può avere conoscenza “personale” e ricordare un elefante africano e quello che (casualità?) raggiungono i più grandi branchi di babbuini.

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Roberto è il responsabile dei progetti di formazione di People Group. Formatore, appassionato di neuroscienze e Guida Canyon, è sempre alla ricerca di nuovi modi per conoscere e interpretare la realtà che ci circonda. Per comunicare con l’autore: roberto@peoplegroup.it

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