5 tecniche di comunicazione assertiva

Come far valere le proprie opinione in un contesto gerarchico

Questo articolo prende spunto da un’interessante articolo – scritto da Amy Gallo, editor di Harvard Business Review – sul tema dell’uso dell’assertività in azienda in situazioni di potenziale conflitto. Ne abbiamo isolato gli aspetti essenziali. Vediamoli assieme.

Innanzitutto, uno degli obiettivi della comunicazione efficace è acquisire la capacità di essere assertivi, cioè dire ciò che pensiamo evitando di stimolare reazioni emotive avverse negli interlocutori. In teoria è tutto molto semplice e lineare. Tuttavia, la prova del fuoco è portare e sperimentare l’assertività nel contesto organizzativo di tutti i giorni, dove – per esempio – quello che pensiamo è l’esatto opposto di ciò che pensa il nostro capo; oppure – sempre per esempio – la sub-cultura organizzativa non prevede che si possa mettere in dubbio la parola del capo.

Ecco, questo potrebbe essere un problema, sebbene in una prospettiva positiva possiamo considerarla una grande opportunità: poter mettere in pratica, in una situazione quasi impossibile, quanto appreso al corso sulla comunicazione efficace.

Immaginatevi di essere in un meeting con il mega-capo. Mentre illustra il piano di implementazione del nuovo progetto di vendita del prodotto di punta dell’azienda, ha palesemente preso una cantonata, dovuta alla scarsa conoscenza di alcuni dettagli della catena distributiva. Niente paura. Ci sono manager più anziani e navigati di voi che sicuramente sono pronti ad intervenire. Invece, passano i minuti, ma non succede nulla, a parte i sorrisi impacciati dei manager più anziani che annuiscono ad ogni parola del capo. Comincia a salirvi l’ansia. L’immagine di te che prendi parola e smentisci il capo dinnanzi a tutti viene subito sostituita dall’immagine del capo che ti urla in faccia: “Come ti permetti di parlare in questo modo?

Nel nostro cervello è in corso una battaglia tra due aree in conflitto tra loro. Da una parte quelle afferenti alle scelte morali che spingono verso un intervento perché è giusto farlo, a prescindere dalle conseguenze; dall’altra parte, in direzione opposta, le aree che valutano rischi e conseguenze delle nostre azioni, basate essenzialmente su influenza del gruppopre-giudizio ed esperienza.

Cosa fare? Ci sono diverse possibilità che possono aiutarci a uscire dall’impasse, offrendoci magari anche qualche opportunità di crescita all’interno dell’azienda. Però attenzione: non è facile perché ogni situazione nasce in un diverso contesto, risultante da tanti elementi che fanno riferimento alla cultura organizzativa, alle capacità di leadership del capo, a specifiche dinamiche intra-gruppo, all’anzianità e all’esperienza dei vari partecipanti, oltre che ovviamente alle proprie capacità di comunicazione.

Ecco qualche possibile soluzione, da usare con parsimonia e delicatezza.

Valutare il rischio della “non-azione”

In linea di massima, il fatto che siamo presenti nel meeting significa che siamo in qualche modo coinvolti nella faccenda.
Questo implica che, oltre alle conseguenze di un nostro intervento contraddittorio durante il meeting, potrebbero esserci delle conseguenze anche nel caso di non intervento. Sì, perché se poi il progetto non va a buon fine, la conseguenza più immediata è che si cerchi un “responsabile” o un “colpevole” (che non sia il capo). Se noi avremmo potuto sapere e avremmo dovuto parlare, ma non lo abbiamo fatto, nella migliore delle ipotesi passeremo come incompetenti, nella peggiore saremo dei sabotatori.

Non minare l’autorità del capo

Spesso, contraddire una persona in una situazione di potere ha poco a che fare con il contenuto di ciò che sosteniamo.
Quando confutiamo o smentiamo direttamente chi è più in alto di noi, ciò che arriva all’interlocutore è un attacco da cui difendersi, soprattutto se questo attacco avviene pubblicamente. E qual è il miglior modo di difendersi se non esercitando la propria autorità?
Quindi, il suggerimento è: intervenire solo se siamo sicuri di poter discutere del contenuto senza che l’intervento venga preso come un attacco personale. Vediamo come farlo.

Eliminare il pubblico

Una delle azioni più efficaci da intraprendere è non parlare durante il meeting, ma chiedere un incontro riservato con il capo. Questo elimina problemi connessi con la lesione della sua autorità e vi consente di fornirgli un’arma per aumentare la sua credibilità. Nel caso in cui questa via non fosse percorribile potete sempre provare un approccio con una delle persone più vicine al mega-capo.

Modulare l’assertività

Se il pubblico non è un problema, allora può essere il caso di intervenire nel corso della riunione, eventualmente con qualche accortezza. Prima di tutto, accertiamoci che ciò che affermiamo sia corretto e supportato da dati reperibili. In secondo luogo, chiediamo il permesso di non essere d’accordo: “mi permetto di intervenire perché i dati di analisi in mio possesso potrebbero portare a conclusioni differenti. Mi piacerebbe poterle illustrare, se siete d’accordo…”. Questo dà la scelta a chi comanda di accettare volontariamente una contraddizione o di posticipare il vostro intervento in un secondo momento, senza la percezione di una particolare minaccia.

Usare la tecnica del panino

Immaginiamo che il nostro contributo critico sia il ripieno di un panino. In questo caso, inseriamolo all’interno di due considerazioni che invece rinforzano il punto di vista del capo. Qualcosa del genere: “Sono eccitato all’idea del lancio di questo nuovo prodotto e non vedo l’ora di poter lavorare fattivamente sul progetto. Tuttavia, da alcuni dati in mio possesso emergono delle criticità che potrebbero influire sulla sua distribuzione. So che abbiamo già valutato in modo accurato tutti gli aspetti, ma dato che credo molto nel progetto, mi piacerebbe eliminare qualsiasi intoppo per garantire al 100% la sua distribuzione”. 
È un esempio generico e, evidentemente, da adattare alle singole situazioni, ma può offrire l’idea dell’argomento di cui parliamo. 

Questi sono alcuni semplici suggerimenti che, usati singolarmente o combinati, possono essere di aiuto nel dirimere alcune questioni. Ovviamente, oltre a ciò e a prescindere dall’applicazione di una tecnica, il rispetto delle regole della comunicazione efficace sono utili e indispensabili anche in questo caso.

Fare domande o usare il condizionale nel proporre le proprie affermazioni può senz’altro aiutare a non apparire come il depositario della verità. In particolare, vanno evitate considerazioni personali fuori luogo che ci facciano apparire come il risolutore del problema, rendendo a sua volta il vostro capo un’idiota.

Infine, deve sempre essere chiaro che ogni situazione presenta caratteristiche specifiche che vanno analizzate di volta in volta. Non c’è una risposta ottimale, ma tanti strumenti utili da utilizzare.

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Roberto è il responsabile dei progetti di formazione di People Group. Formatore, appassionato di neuroscienze e Guida Canyon, è sempre alla ricerca di nuovi modi per conoscere e interpretare la realtà che ci circonda. Per comunicare con l’autore: roberto@peoplegroup.it

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