Cultura organizzativa e smart working

Il cambiamento non passa per le singole azioni

Qualche giorno fa, durante una chiacchierata con un conoscente che lavora presso una grande azienda Italiana, il discorso è caduto su come l’azienda (e il mio amico) stavano affrontando questo periodo. Sono partite le classiche domande del tipo: 

Come ti trovi a lavorare a casa?

Riesci a portare avanti il lavoro con i colleghi?

L’azienda sta lavorando su un vero processo di smart working, o vi ha mandato semplicemente a casa?

Ovviamente le domande erano viziate dal mio interesse per l’argomento. Non vado in giro a fare domande del genere di solito.
Ad ogni modo, le risposte non mi hanno sorpreso più di tanto. Trovare un’azienda che fosse preparata a una situazione del genere o che avesse autonomamente già avviato una ristrutturazione verso il lavoro agile in modo massivo è statisticamente poco probabile.

Le risposte? Le riassumo sinteticamente:

  1. Bene, ma in ufficio funzionava meglio
  2. Lasciamo perdere, sembrano tutti impazziti
  3. Ci hanno mandato una mail in cui hanno nominato lo smart working, ma alcuni di noi non hanno neanche la linea internet o il PC

Cultura organizzativa e smart working: il cambiamento non passa per le azioni singole 1

Realtà parallele

Al di là delle lamentele – più o meno legittime – e della sindrome del “si stava meglio quando si stava peggio”, ci sono un paio di cose che mi hanno colpito maggiormente durante la chiacchierata. Da un lato il completo scollamento tra le dichiarazioni istituzionali dell’azienda e il comportamento reale dei manager che avrebbero dovuto realizzare il grande cambiamento del lavoro agile. Dall’altro, la quasi totale mancanza di consapevolezza di questo scollamento da parte del vertice, manager compresi.

Un po’ come la lettura di un libro sul management o sul comportamento organizzativo. Il testo descrive modelli e best practice bellissimi e desiderabili; poi varchiamo la porta della nostra azienda e il contenuto di quel testo sembra essere lontano anni luce dal day-by-day professionale.

La stessa analogia è riscontrabile nel campo della formazione professionale. C’è una vasta letteratura su moltissimi aspetti dell’apprendimento degli adulti e sulla facilitazione dei processi di sviluppo delle competenze, di cui spesso ci si riempie la bocca in fastosi convegni sulle risorse umane. Ci sono metodologie e pratiche di indubbia efficacia. Però basta osservare l’erogazione della formazione in azienda: nella maggior parte dei casi è poco innovativa, inutile e inefficace. I vincoli di tempo, budget e approvazioni varie, compresi gli interventi dei vari dipartimenti, smontano e modificano un progetto valido sulla carta, ma poco incisivo nella sua realizzazione.

È il paradosso del management: i paladini del cambiamento e dello sviluppo spesso si trasformano nei loro più fieri detrattori.
La responsabilità di questo aspetto è solo in parte del manager. Nessun manager dotato di buon senso si allontanerebbe dalla via tracciata e ben visibile, in un’organizzazione complessa che vuole l’innovazione in teoria, ma in pratica non ammette errori, all’interno di un sistema del lavoro piuttosto statico.
Se ci si muove in una cultura che premia l’immobilismo, il basso profilo e l’affiliazione, non è possibile aspettarsi innovazione e cambiamento.

Cultura organizzativa e smart working: il cambiamento non passa per le azioni singole 2

La montagna capovolta

Ecco il punto cardine di tutto il discorso. L’unica possibilità di poter stimolare un cambiamento reale è operare a livello di cultura organizzativa, non di singole azioni. 

In una struttura aziendale è impossibile sperare in un cambiamento dal basso. L’unica possibilità per creare e diffondere nuovi schemi di pensiero è agire a livello di visione e di consapevolezza diffusa. È inutile dire che questa è una diretta prerogativa del vertice dell’organizzazione, a prescindere che sia l’imprenditore di una PMI o il top management di una grande azienda.

Modificare la cultura organizzativa è come scalare una montagna capovolta: si parte dalla punta per poi arrivare alla base, forse la parte più impegnativa della scalata.

Nell’adozione dello smart working si ripropone lo stesso schema. Quando parliamo di lavoro agile, parliamo prima di tutto di un cambio di paradigma, una rivoluzione culturale difficile e di ampio respiro. Non basta applicare qualche modello con relative check-list, ma ci vuole coraggio, visione e una grande capacità di ispirazione del corpo manageriale che deve interpretare fattivamente il cambiamento.

Se manca il motore, la macchina non si muove. Possiamo sempre spingerla, ma allora facciamo prima ad andare a piedi.

Secondo me, prima di scrivere una mail a tutti i collaboratori o tenere una conferenza in plenaria (su piattaforma digitale, s’intende) in cui si annuncia l’alba dello smart working, bisognerebbe mettersi nei panni di chi riceve il messaggio e capire come sta vivendo il momento e perché dovrebbe cambiare.

Attenzione, non è obbligatorio. Basta poi accontentarsi di lavorare con team poco motivati, turnover elevato e calo dei risultati.

Piccolo suggerimento pratico: parla con i tuoi collaboratori, capisci ciò che li motiva, introduci un piccolo cambiamento, spiega loro perché, raccogli i loro feedback e discutine in maniera aperta con loro prima della decisione finale.

Cultura organizzativa e smart working: il cambiamento non passa per le azioni singole 3

Cultura organizzativa e smart working: il cambiamento non passa per le azioni singole 4
Roberto è il responsabile dei progetti di formazione di People Group. Formatore, appassionato di neuroscienze e Guida Canyon, è sempre alla ricerca di nuovi modi per conoscere e interpretare la realtà che ci circonda. Per comunicare con l’autore: roberto@peoplegroup.it