La leadership del futuro

Cosa fa di un leader… un leader

Se vi chiedessi di definire la leadership in una parola, cosa rispondereste? A seconda del significato che possiamo dare al termine inglese, le parole potrebbero essere molto differenti. Volendo scegliere una delle peculiarità più importanti che dovrebbe possedere un leader, mi viene in mente una parola che riassume un insieme di competenze essenziali – o forse un atteggiamento – che reputo indispensabile per chi si trova in posizioni di vertice.

Prima però faccio un paio di premesse.

Innanzitutto, chi si trova in posizioni di vertice potrebbe essere un pessimo leader. Non è la posizione occupata all’interno dell’organizzazione a fare di noi un leader. Perlomeno se assumiamo il punto di vista delle caratteristiche relazionali che la psicologia organizzativa assegna al concetto di leadership.

In secondo luogo, quando si parla di management, la leadership è uno dei concetti più sfuggenti e abusati: a volte sembra essere come una scultura che cambia aspetto a seconda della prospettiva da cui viene guardata. 

Si può dire che il leader è colui che deve guidare il team al raggiungimento dell’obiettivo e si può associare questo concetto a una serie di parole, tutte corrette e più o meno importanti, anche a seconda del ciclo di vita dell’organizzazione e dei mutamenti del contesto nel quale l’organizzazione opera.

Lo stile di leadership ideale

Proviamo allora a rivoltare il problema. Esiste uno stile di conduzione del gruppo che dia sempre e comunque risultati certi? Magari!
Sarebbe fantastico avere un manuale di istruzioni per poter scegliere in ogni occasione la decisione migliore.
Oppure, oltre che impossibile, forse sarebbe noioso.

Rispetto a ciò mi sento di poter affermare con ragionevole certezza che non esiste uno stile univoco che vada bene in ogni occasione.  Le competenze di un leader sono molteplici (e anch’esse sfuggenti):

  • visione
  • capacità negoziali
  • comunicazione efficace
  • empatia
  • proazione
  • carisma
  • autorevolezza
  • presenza
  • … 

Allo stesso modo, le decisioni da affrontare in situazioni di incertezza possono richiedere l’eccellenza in una o più di tali competenze, in base all’interazione tra il contesto, l’ambiente, la situazione e l’organizzazione che il nostro eroe si trova a guidare. In ultimo: le caratteristiche, le risorse interne e la composizione del team attraverso cui andiamo ad agire sono un ulteriore elemento di complicazione. 

La sfida, come è facile intuire, è avere o allenare il giusto mix di competenze specifiche che si adattano alla squadra e che anticipano e rispondono in maniera efficace alle richieste ambientali. Diciamo che non basta una vita per eccellere in questo campo, a meno che non si pensi a poche, rare e controverse eccezioni (sto pensando a personaggi come Gesù, Giulio Cesare o Gengis Kahn, giusto per intenderci).

Responsabilità: ecco uno dei segreti della leadership

Cosa posso fare se aspiro ad una posizione di vertice o se, mio malgrado, ci sono arrivato grazie a precedenti scelte andate a buon fine?

Ritorno allora alla parola di cui parlavamo all’inizio di questo breve articolo e che – a mio avviso – racchiude uno dei segreti della leadership. Uno dei tratti comuni, a prescindere dallo stile di leadership, e dalle situazioni in cui la stessa si manifesta, è la “responsabilità”.

La capacità di assumersi e gestire la responsabilità è una competenza essenziale e indispensabile, o forse è più un’attitudine. Ovviamente, tale attitudine è una condizione indispensabile, ma non sufficiente. A nulla serve se non connessa con il giusto mix di competenze di cui sopra.

Tuttavia, partire da una condizione in cui mi assumo la responsabilità di ciò che devo raggiungere e di ciò che fanno i miei collaboratori è una base di partenza completamente differente dall’essere semplicemente un “capo”.
Sapere che se Tizio sbaglia è mia responsabilità, permette di vedere cose che altrimenti sfuggirebbero perché sarei concentrato solamente sui miei compiti. Attenzione però: non si tratta di controllare Tizio, ma di fornirgli tutti gli strumenti, le conoscenze e le possibilità per fare al meglio quello che abbiamo concordato debba essere il suo compito, per raggiungere l’obiettivo comune.  E se Tizio sbaglia, bisogna chiedersi prima di tutto dove ho sbagliato io, o se ho fatto bene ad assegnare il ruolo richiesto a Tizio. Alla fine, nella denegata ipotesi in cui Tizio fosse proprio un farabutto, bisogna allora interrogarsi sulla propria responsabilità rispetto al fatto di averlo assunto o di non aver prevenuto il danno.

Va da sé che ho tracciato tutte ipotesi estreme, e l’ho fatto per non avere quegli alibi che, spesso, ci fanno rifuggire dalla responsabilità delle decisioni (o non decisioni) che prendiamo. Se vogliamo allenarci alla leadership (o ci troviamo giocoforza in questa posizione) dobbiamo sapere che ragionare in questo modo è stressante, faticoso, doloroso, ma molto utile per raggiungere l’obiettivo. Il resto è tutta pratica sul campo. Ma soprattutto facciamoci una domanda ancora più importante: “ho veramente voglia di essere il leader?”.

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Roberto è il responsabile dei progetti di formazione di People Group. Formatore, appassionato di neuroscienze e Guida Canyon, è sempre alla ricerca di nuovi modi per conoscere e interpretare la realtà che ci circonda. Per comunicare con l’autore: roberto@peoplegroup.it

Photo Credit: Brooke Lark, Markus Spiske