Nuovi rituali nel distanziamento sociale.

Quanto ci piace prenderci a gomitate?

Partiamo con una domanda. Voi siete del partito del gomito o del saluto a distanza?
Sentite un’irrefrenabile bisogno di toccare una qualsiasi estremità dell’interlocutore o preferite piuttosto un inchino a mani giunte da lontano, magari accompagnato da un “namasté”?

Da un punto di vista squisitamente razionale, in un contesto di pandemia mondiale dilagante, la necessità di toccarsi il gomito non ha alcun senso. Piuttosto lo acquisisce da un punto di vista emotivo e riflette la necessità di “entrare in contatto” con l’altro.

Il video di Conte e Merkel riflette in pochi secondi le grandi differenze culturali con i paesi nordici europei, meno avvezzi a baci, abbracci e manifestazioni fisiche di saluto. Noi europei meridionali, nel bene e nel male, siamo culturalmente più portati ad accorciare le distanze.

Mai baciare uno svedese

Ho appreso dell’esistenza di queste differenze culturali molti anni fa. Ero molto giovane ed ero appena tornato da un periodo di lavoro in Svizzera, insieme a persone provenienti da tutto il mondo. Nel giro di amicizie e conoscenze che avevo instaurato, avevo legato con due ragazzi svedesi. Quando mi hanno manifestato la loro idea di venire a fare un giro in Italia mi sono subito offerto di ospitarli a casa. Andai a prenderli alla stazione e li salutai dando loro la mano. Immerso com’ero nuovamente nelle consuetudini del mio paese, istintivamente trasformai la stretta di mano in un paio di baci sulle guance, diminuendo drasticamente e in maniera improvvisa la distanza tra noi.

In quel momento, ebbi la chiara impressione di aver fatto un errore. Uno dei due, infatti, si era irrigidito e nel momento di improvviso avvicinamento aveva anche fatto un piccolo passo all’indietro. Quello che per me era normale consuetudine, per loro era una situazione di disagio cui non erano stati abituati.

Questa esperienza mi ha fatto molto pensare e la ricordo ancora come se fosse ieri.

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Cultura e bisogni

Le diverse culture, tuttavia, non eliminano il bisogno di contatto o la stretta di mano, ma ne modellano il modo in cui si manifesta.

Se non fossimo stati abituati ad usare coltello e forchetta per mangiare, probabilmente mangeremmo serenamente con le mani nel piatto. Il fatto di usare le posate non elimina il bisogno di mangiare. Allo stesso modo, la modalità di saluto (diversa in base a culture differenti) non elimina il bisogno di entrare in connessione.

Quando interagiamo con altre persone, abbiamo bisogno di un contatto diretto. E allora ci si dà la mano, o ci si bacia o ci si abbraccia. Se questo non è possibile, perché sono su un palco o perché sono troppo distante, allora ci si guarda negli occhi o ci si agita per comunicare a gesti, oppure si allarga oltremodo il sorriso.

Non si tratta di semplici rituali o abitudini poco razionali. Durante una stretta di mano, un abbraccio o uno sguardo ci scambiamo un’infinità di informazioni. Informazioni che ci aiutano a definire istintivamente se la persona che abbiamo di fronte è degna, è una minaccia, sta mentendo, è sincera, è impaurita, è determinata, oltre a una grande lista di altre sfumature emozionali che contribuiscono a creare nella nostra mente un’idea dell’altra persona; oppure che ci aiutano a dare un senso e un contesto allo scambio comunicativo. 

Traslato nel mondo delle risorse umane: quanto sono importanti le espressioni facciali di un candidato in un colloquio, il modo in cui ci dà la mano, la gestione del suo sguardo?

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Prendiamoci a gomitate

La persistenza di un’emergenza sanitaria, che prevede come forma primaria di tutela il distanziamento sociale, sta modificando rituali e consuetudini che davamo quasi per scontati. 

Incontrare una persona senza dare la mano potrebbe essere addirittura preso come un atto di disprezzo. Oggi è diventato quasi il contrario.

La distanza ci priva della possibilità di toccarci, la mascherina ci priva di buona parte delle espressioni facciali. Questo ci crea una situazione dove la prima reazione, anche a livello istituzionale, è stata trovare altre forme ritualistiche di contatto. 

I nord-europei, forse già da prima poco avvezzi all’esuberanza del contatto fisico nostrano, hanno più facilmente trasformato la stretta di mano in un saluto a distanza; noi, probabilmente, facciamo un po’ più di fatica ed il toccarsi il gomito è stato, fin da subito, un’alternativa accettabile, anche se è di fatto un controsenso. Se la distanza è l’elemento primario di tutela, darsi una gomitata implica vicinanza (la stessa OMS sembra essere intervenuta per sconsigliare questa pratica).

Questo, tuttavia, può dare un’idea di quanto il bisogno di relazione e di contatto sia una necessità essenziale di noi esseri umani.

La questione non è gomito sì o gomito no. Il punto è capire come possiamo recuperare quelle informazioni non verbali che fino a ieri riuscivamo a scambiare con un semplice contatto fisico. Quali rituali ci possono venire in aiuto? Quale forma di saluto (di per sé un macro-rituale) scambiarci su piattaforme digitali, su cui l’elemento distanza fisica, visiva, audio, olfattiva, posturale ha un impatto ancora maggiore?

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Roberto è il responsabile dei progetti di formazione di People Group. Formatore, appassionato di neuroscienze e Guida Canyon, è sempre alla ricerca di nuovi modi per conoscere e interpretare la realtà che ci circonda. Per comunicare con l’autore: roberto@peoplegroup.it

Photo Credit: Noah, Branimir Balogović, visuals