Prendere decisioni al tempo del Covid-19.

Perché è impossibile convincere un terrapiattista che la terra è sferica

Facciamo subito una premessa in modo da sgombrare il campo da eventuali incomprensioni: non è un articolo sul coronavirus. Ma, allora, cosa c’entra il virus?

Il virus è il trend topic del momento, e quello che dal nostro punto di vista è interessante è l’emersione di comportamenti tipici di situazioni di crisi, pericoli globali (veri o presunti) o grandi questioni morali. 
Non importa cosa dicono i dati, non importa che illustri scienziati cerchino di spiegare nel dettaglio la situazione; il comportamento delle persone sembra quasi essere refrattario a qualsiasi dato oggettivo.
In queste situazioni gli scenari più probabili sono principalmente di due tipi:

  1. panico
  2. fazioni in perenne discussione con posizioni molto polarizzate e poco concilianti.

Andiamo a vedere qualche esempio, oltre al nostro Covid-19: vaccini, global warming, Eurozona, fondi, Draghi, ecc.

Tralasciando le situazioni di panico, su cui non possiamo fare nulla mentre il processo è in corso, nel secondo scenario c’è spesso l’illusione che presentare dati oggettivi possa essere risolutivo. In realtà, capita spesso di assistere a una battaglia di dati, dove ogni parte sostiene con ancora maggior forza la sua tesi, esclusiva ed escludente. Anzi, in alcuni casi ci sono scienziati o economisti o esperti da entrambe le parti che, dati alla mano, ci vogliono convincere di due argomentazioni opposte.

Come è possibile?
Cosa possiamo fare per non essere risucchiati da una delle due fazioni e per cercare di farci una nostra idea?

Partiamo dal presupposto che non è per nulla semplice e che questo tipo di comportamento sociale fa parte della natura umana. Proviamo a vedere il problema della gestione dei dati dal punto di vista del nostro cervello. Per farlo, partiamo da un’interessante prospettiva che deriva dagli studi (pubblicati in diversi articoli dal 2010 al 2017) di Dan Kahan e colleghi, della Yale Law School, che hanno ipotizzato due principali modalità con cui l’essere umano analizza e valuta questioni di pubblico interesse, che spesso contrappongono dati scientifici e posizioni politiche.

Il professor Kahan si pone una fatidica domanda:

“Perché le persone non accettano i fatti quando i fatti sono completamente chiari?”

Provate ad applicare questa domanda al tema del riscaldamento globale o dei vaccini. Per rispondere a questa domanda, ipotizzano due possibilità in antitesi tra di loro.

Prima possibilità

La prima – che l’autore chiama Science Comprehension Thesis (SCT) – trova le sue ragioni nel fatto che le persone, in media, hanno una bassa conoscenza tecnico-scientifica, che non permette di capire a fondo le implicazioni di dati, numeri, ricerche e informazioni che spiegano alcuni fenomeni. 
In realtà, anche il modo in cui le informazioni vengono presentate influenza pesantemente il giudizio di chi le riceve. Parlare di una malattia che rischia di fare 56.000 morti è diverso dal sentire che il tasso di mortalità della stessa malattia è pari allo 0,001%.

Facciamo un altro esempio. Tutti più o meno sappiamo cos’è l’intelligenza emotiva. Quanti di voi, però, hanno letto (e capito) l’articolo del 1990 in cui due sconosciuti ricercatori – Peter Salovey e John D. Mayer – teorizzavano l’esistenza di questa forma di intelligenza? Il termine intelligenza emotiva è diventato di uso comune solo dopo che un altro psicologo e divulgatore scientifico – Daniel Goleman – ha tradotto questa ricerca con parole adatte al grande pubblico.

Se questa ipotesi fosse la risposta alla domanda iniziale, tutto sarebbe molto semplice. Basterebbe, infatti, educare il pubblico e comunicare con le giuste parole il concetto che si vuole passare. Tuttavia, prendiamo ad esempio il tema dei vaccini. In questo caso dobbiamo presumere o che la comunità scientifica non sia riuscita a comunicare in maniera efficace i benefici del vaccino, oppure c’è qualcos’altro che influenza le nostre idee.

Seconda possibilità

Questo ci permette di arrivare alla seconda possibilità ipotizzata da Kahan. Questa prevede che la nostra idea riguardo argomenti controversi non sia influenzata solo dalla scarsa conoscenza degli strumenti tecnico-scientifici, che non ci permettono di capire a fondo il problema.

In questo caso parliamo della Identity-protective Cognition Thesis (ICT). In questo scenario, la capacità di capire I termini del problema è intatta, ma c’è una distorsione dovuta a fattori culturali e sociali.

In altre parole, anche avendo la possibilità di capire il problema e di analizzare i relativi dati, il sistema di credenze che deriva dalla nostra appartenenza a comunità con forte connotazione politica, religiosa o morale, filtra i dati che arrivano al nostro sistema cognitivo, rinforzando le credenze stesse. In questo caso, dati anche rilevanti perdono completamente di forza nella spiegazione di un determinato fenomeno. Provate a usare spiegazioni scientifiche per convincere un religioso di qualsiasi credo che Dio non esiste.

A rinforzare questo fenomeno, inoltre, c’è la spinta molto forte verso il bisogno di appartenenza ad un determinato gruppo o comunità. L’uomo è un animale sociale e per sopravvivere ha bisogno degli altri. Appartenere ad un gruppo, una comunità, un’azienda, un’organizzazione benefica o un partito politico definisce e modifica in parte la nostra identità. La spinta verso il conformismo nei confronti del nostro gruppo di appartenenza trova la sua ragione nel fatto che il gruppo è una protezione verso le minacce esterne. Per far parte ed essere accettato dal gruppo, ci deve essere una comunione di intenti, un sistema di credenze e degli obiettivi condivisi. Quanto più le nostre idee si allontanano da quelle del gruppo, tanto più rischiamo di rimanere isolati, situazione potenzialmente vissuta come pericolosa.

Per questo, su temi moralmente o politicamente carichi, tendiamo inconsapevolmente a non considerare quelle informazioni che potrebbero danneggiarci, ponendoci in conflitto con la nostra comunità.

Immaginiamo, se possibile in maniera asettica, la posizione di un ingegnere assunto da una compagnia petrolifera rispetto all’inquinamento o al riscaldamento globale. Non c’è alcun deficit cognitivo (SCT) quando ci spiega che non ci sono prove definitive e sufficienti per poter dire che l’uomo è la causa primaria del riscaldamento globale. Anzi, presumibilmente porterà a sostegno delle sue argomentazioni studi e ricerche in merito che dimostrano il contrario. La selezione delle informazioni operata da questo ingegnere è perfettamente coerente con la comunità che lui stesso rappresenta. Non solo. Il beneficio a breve termine che una posizione diversa dell’ingegnere porterebbe all’umanità, è minima rispetto al potenziale danno che il nostro ingegnere potrebbe ricevere dall’essere emarginato dalla sua comunità di appartenenza (ICT).

Se consideriamo i grandi temi etici che dividono, anche in maniera violenta, le diverse comunità umane e leggiamo questi comportamenti attraverso le lenti che Kahan e colleghi ci forniscono, alcune cose diventano più comprensibili.

E, come sempre, avere la consapevolezza che il nostro comportamento e le nostre decisioni siano influenzate da fattori esterni più di quanto ci piaccia credere, è la prima forma di difesa per limitare il numero di bias che ci influenzano e per cercare di prendere decisioni migliori.

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Roberto è il responsabile dei progetti di formazione di People Group. Formatore, appassionato di neuroscienze e Guida Canyon, è sempre alla ricerca di nuovi modi per conoscere e interpretare la realtà che ci circonda. Per comunicare con l’autore: roberto@peoplegroup.it

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