Lo smart working non è lavorare da casa.

Cos’è cambiato un anno dopo?

Cosa è cambiato dopo un anno tra lockdown, pandemia e sviluppo del lavoro agile?

Ho ripreso un articolo scritto poco meno un anno fa in cui cercavo di fare il quadro della situazione rispetto a una parola che ha riempito i giornali e la nostra testa: smart working.

Proprio in queste settimane sto lavorando su un progetto di formazione per una grande azienda per favorire l’adozione di processi di lavoro agile.

Senza dubbio, l’erogazione di formazione è un elemento di grande importanza che aumenta in primis la consapevolezza. Se non si percepisce di avere un problema, quello è il problema.

Ma non tutte le aziende possono permettersi investimenti così rilevanti di formazione. 

Quali le differenze da un anno a questa parte? 

I dati

Uno dei dati riportati nel precedente articolo recitava così: Il fenomeno dello smart working era in lenta ma costante crescita nel nostro paese, con il 58% delle grandi imprese e il 12% delle PMI che dichiarano di aver avviato progetti di smart working (fonte).

Dopo un picco obbligato nel periodo di lockdown duro, una recente ricerca sempre del Politecnico di Milano stima una nuova stabilità a circa il 70% per le grandi imprese e un 48% per la PA che prima dell’emergenza si attestava al 16% (fonte).

La domanda che sorge spontanea è: ma è vero smart working?

La stessa ricerca sottolinea che si è trattato più di un lavoro da remoto che non di lavoro agile (unico sinonimo dello smart working). 

La situazione reale

Da un punto di vista puramente soggettivo, avendo la possibilità di confrontarmi con migliaia di dipendenti proprio su questo specifico tema, rilevo ancora una grande confusione tra:

  • smart working
  • lavoro da casa
  • lavoro in remoto
  • telelavoro

Tutti questi termini non sono sinonimi.

Lo smart working prevede una elevata flessibilità di tempo e di spazio nello svolgimento del proprio lavoro, non è applicabile a tutte le mansioni e non prevede il fatto di non andare in ufficio.

Piuttosto, per ogni tipo di azienda va trovata la formula più adatta a mantenere la produttività e al tempo stesso garantire un’adeguata libertà (diritto alla disconnessione) a chi decide di aderirvi.

Ancora è presto per capire se questa pandemia ha portato un’accelerazione o dei benefici concreti nonostante le difficoltà. Di sicuro, se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno ci sono in generale più competenze digitali da parte di tutti i lavoratori e una maggiore consapevolezza su nuove e possibili modalità di lavoro.

Questo è un aspetto culturale molto importante, forse dovuto al persistere di un’emergenza reale che ha giocoforza cambiato le nostre abitudini ed aspettative.

Al di là delle lamentele diffuse sulla mancanza di comunicazione, sullo stress da condivisione di spazi familiari spesso inadatti al lavoro e, in alcuni casi, da isolamento sociale, oggi molti lavoratori sono consapevoli che varie mansioni possono essere svolte fuori dell’ufficio e in orari più flessibili. Allo stesso modo, molti manager hanno dovuto o dovranno a breve imparare a spostare il focus dal controllo della persona al controllo dei risultati (più facile a dirsi che a farsi).

Una crisi devastante per molti ci sta rendendo un po’ più flessibili e un po’ più stressati. Vedremo chi vincerà.

Il futuro

Quindi, questo scenario sarà quello che dovremo aspettarci? Beh, speriamo di no. Siamo ancora in una fase di assestamento che non ha trovato per nulla il suo equilibrio. Ci vorrà ancora del tempo.

Cosa possiamo fare intanto?

Uno dei primi elementi, che reputo trasversale a tutte le organizzazioni, indipendentemente dalla dimensione, è concentrare l’attenzione sul team, inteso come un gruppo di persone che lavora a stretto contatto o sullo stesso progetto.

La distanza forzata e la maggiore flessibilità di domani non ci devono far dimenticare che l’azienda è fatta di persone e che le persone instaurano delle relazioni tra loro.

Lo spostamento delle persone a casa, o qualsiasi modifica della struttura del lavoro, ha degli impatti profondi sulle relazioni che si ripercuotono sulle performance. La brutta notizia è che questo non succede istantaneamente, spesso si nota una diminuzione dei conflitti e persone che addirittura lavorano di più. 

La diminuzione dei conflitti, però, può essere legata alla minore frequentazione e non alla soluzione di quel conflitto che rischia di diventare latente e uscire fuori al momento sbagliato.

Allo stesso modo, le persone che lavorano di più potrebbero andare incontro più facilmente al burn out, soprattutto se in una condizione di isolamento sociale.

3 suggerimenti

Cosa fare? Ecco qualche breve consiglio che – ovviamente – non vuole essere esaustivo, ma un semplice invito alla riflessione.

  1. Prendersi cura delle persone che lavorano con noi
    La distanza e la comunicazione su piattaforme digitali non rendono disponibili tutte quelle informazioni non verbali su cui si basa la comunicazione umana.
  2. Fare riunioni brevi ed efficaci
    Ora che ci ritroviamo a passare ore e ore davanti allo schermo, non uccidiamo i nostri collaboratori con riunioni inutili e infinite. Dobbiamo essere concreti, definire gli obiettivi e dare un tempo limite alla discussione. Meglio brevi incontri one-on-one per dare supporto personale ai colleghi o semplicemente chiedere se hanno bisogno di qualcosa.
  3. Dare importanza agli incontri in presenza
    Sia ora che in futuro – quando lo smart working sarà una realtà più consolidata – i momenti passati insieme sono e saranno ancora più preziosi. Pensiamo a situazioni ed eventi per fare in modo che il team tragga il massimo beneficio dallo stare insieme. Organizziamo sessioni di formazione e di confronto. Proponiamo eventi di formazione esperienziale, soprattutto in outdoor per permettere alle persone di rinforzare il legame di fiducia professionale e personale che è stato messo alla prova da mesi di incertezza.

Tre consigli veloci e tutt’altro che semplici da mettere in pratica, ma che possono dare un’idea delle cose da fare subito per evitare di dover intervenire quando sarà ormai troppo tardi.

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Roberto è il responsabile dei progetti di formazione di People Group. Formatore, appassionato di neuroscienze e Guida Canyon, è sempre alla ricerca di nuovi modi per conoscere e interpretare la realtà che ci circonda. Per comunicare con l’autore: roberto@peoplegroup.it

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